Le coronarie non sono perfettamente libere, ci sono già preoccupanti placche aterosclerotiche. Eppure il colesterolo «cattivo» è normale, magari si sta già facendo una terapia per tenerlo basso: com’è possibile allora che le arterie del cuore siano malmesse e si rischi lo stesso un infarto? Può sembrare un paradosso, ma è una situazione meno rara di quel che si pensi e la colpa, spesso, è di un «nuovo» colesterolo, la lipoproteina (a): descritta a metà del secolo scorso, è da qualche tempo sotto i riflettori perché si è capito che può aumentare non poco il rischio di aterosclerosi e infarti anche in giovane età, oltre che contribuire ad alcune patologie delle valvole cardiache come la stenosi aortica.

Un rompicapo
E mentre si cerca di comprendere meglio come funzioni la lipoproteina (a) e soprattutto di trovare farmaci che possano ridurne i livelli, c’è chi per diminuire il pericolo in infarti e ictus ha provato a intervenire contro altri grassi «cattivi», i trigliceridi, oppure ad aumentare il colesterolo «buono» Hdl che invece quando abbonda protegge cuore e vasi. Eppure, per ora, a una modifica anche sostanziale dei livelli nel sangue di trigliceridi o colesterolo Hdl non si è mai associato un taglio netto alla probabilità di guai cardiovascolari: un bel rompicapo, che evidenzia quanto sia complesso l’equilibrio dei lipidi nel sangue e quanto ancora ci sia da capire su buoni e cattivi in tema di colesterolo e affini.

Alcune certezze però le abbiamo e da quelle dobbiamo farci guidare: sappiamo bene chi dobbiamo combattere con tutte le nostre forze perché sicuramente fa male, ovvero il colesterolo Ldl. E abbiamo anche le armi per farlo.

Predisposizione genetica
Se questo fosse un film, non basterebbero i tre classici personaggi da western a esaurire la carrellata dei protagonisti: il buono, il «brutto» e il cattivo non sono i soli da tenere d’occhio, quando si parla di colesterolo.
Perché non c’è solamente il colesterolo Ldl cattivo, l’Hdl buono o i «brutti» trigliceridi: è sempre più evidente che il quadro è assai più variegato e nel prossimo futuro dovremo probabilmente tenere in gran conto elementi che oggi conosciamo ancora poco. È il caso della lipoproteina (a), una parente stretta del colesterolo Ldl: è composta proprio da una molecola di Ldl legata a una porzione di apolipoproteina A e non è influenzata in alcun modo dalla dieta, dall’esercizio fisico, neppure dalle statine tanto efficaci per ridurre il colesterolo Ldl.

Se si ha la sfortuna di essere geneticamente predisposti ad avere una lipoproteina (a) alta, come accade a circa il 20 per cento della popolazione, il rischio di eventi cardiovascolari per esempio può arrivare a essere alto tanto quanto quello di chi ha un’ipercolesterolemia familiare: perfino da giovani, prima dei 50 anni, può capitare di avere un infarto. Anche per questo la Società Europea di Cardiologia ha dedicato alla lipoproteina (a) un documento di consenso in cui si sottolinea che deve essere ritenuta a tutti gli effetti un nuovo fattore di rischio per l’aterosclerosi e come tale andrebbe misurata almeno una volta nella vita a tutti gli adulti, anche se a oggi questo non è un test di routine.

Come agisce la lipoproteina (a)
La lipoproteina (a), dannosa per i vasi grazie alla sua azione pro-infiammatoria, andrebbe valutata soprattutto in persone con ipercolesterolemia familiare, ad alta probabilità di eventi per la presenza di altri fattori cardiovascolari o con una storia familiare di infarti e simili in età giovanile. Inoltre, come per il colesterolo Ldl, gli esperti sottolineano che non c’è una vera soglia «di sicurezza»: al crescere della liproteina (a) aumenta di pari passo il rischio, come ha dimostrato un ampio studio su dati di quasi 500 mila persone che fanno parte del database UK Biobank nel Regno Unito mettendo a confronto i livelli di lipoproteina (a) e la presenza di malattie cardiovascolari.

Lo studio inglese su 500mila pazienti
Gli esperti nel documento sottolineano anche che: «La lipoproteina(a) interagisce con gli altri fattori di pericolo noti incrementando la probabilità di eventi, con un impatto più evidente in chi è già ad alto rischio: chi ha la lipoproteina (a) alta deve perciò controllare con ancora maggiore attenzione gli altri elementi di pericolo, come la pressione arteriosa o il colesterolo Ldl». Perché il guaio è che a oggi non esistono terapie per abbassare la lipoproteina (a): sono tuttora in corso due studi che, su poco meno di 15mila persone con livelli elevati e una storia di infarti o ictus, stanno testando l’effetto di terapie che «silenziano» il gene che produce l’apolipoproteina A necessaria per «assemblare» la lipoproteina (a), ma i primi risultati su un’eventuale riduzione degli eventi cardiovascolari arriveranno come minimo nel 2025.

Colesterolo Ldl
Nel frattempo però si può fare molto sull’altro sicuro killer del cuore, il colesterolo Ldl: lo conosciamo da tanto, abbiamo ottime armi per abbassarlo. Eppure come spiega Fabrizio Oliva, presidente dell’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (Anmco) e direttore della Struttura Complessa Cardiologia 1-Emodinamica dell’Ospedale Niguarda di Milano, «gli equivoci e gli errori con il colesterolo Ldl sono ancora tanti. Il primo è crederlo un “semplice” fattore di rischio, quando è ormai chiaro che è una causa diretta di eventi cardiovascolari. Purtroppo è stato molto banalizzato, tanti credono che si possa tenere sempre sotto controllo solo con prodotti senza parere del medico e non se ne preoccupano, anche perché i sintomi del colesterolo alto non si sentono».

Ognuno ha la sua «soglia»
Il colesterolo Ldl invece è pericoloso perché si «attacca» alle arterie e provoca ispessimenti e irrigidimenti che compromettono una buona circolazione, portando ad aterosclerosi e alla formazione di placche e trombi: se il «cappuccio» fibrotico che copre il colesterolo nelle placche sulla parete interna dei vasi si rompe facendolo fuoriuscire, si innescano potenti fenomeni di infiammazione e coagulazione che possono portare alla nuova formazione di trombi, anche più grandi della placca di partenza, che poi possono occludere vasi coronarici o cerebrali, provocando infarti e ictus. «Quando il colesterolo Ldl supera i livelli soglia è davvero pericoloso e va ridotto con le terapie adeguate, ma qui ci si scontra con un altro equivoco comune», riprende Oliva, «ovvero l’idea che esista una soglia unica valida per tutti: ognuno invece ha i “suoi” valori normali a cui tendere, che derivano dalla valutazione complessiva del rischio cardiovascolare».

Carte del rischio
Il calcolo è possibile con le carte del rischio: una prima auto-valutazione si può fare per esempio sul sito del Progetto Cuore dell’Istituto Superiore di Sanità (cuore.iss.it). Non è l’unico passo necessario, il primo è proprio quello di misurare i propri valori di colesterolo: «Quando si diventa maggiorenni o si fa l’esame di maturità, bisognerebbe anche misurare il colesterolo», sintetizza Oliva. «C’è infatti un periodo di circa 15, 20 anni, dall’età del liceo ai 30, 35 anni, in cui non c’è alcuna percezione del pericolo: non ci sono sintomi, al colesterolo non si pensa. Però se è già alto il prezzo si potrebbe dover pagare ad appena 50 anni, perché conta non solo il livello del colesterolo, ma anche e soprattutto il tempo trascorso con valori più alti del dovuto. Si può essere magri, non fumare, seguire una dieta corretta e avere il colesterolo alto, ed è importante saperlo prima possibile».

Primo, non perdere tempo
Se il colesterolo Ldl va ridotto peraltro non è il caso di tergiversare: individuata la soglia più giusta per sé, bisogna agire. Nessuno mette in discussione l’importanza dello stile di vita perché per esempio lo scarso movimento, il fumo, la dieta ricca di cibi «spazzatura» favoriscono l’ossidazione del colesterolo sulle placche, amplificandone i danni sui vasi; tuttavia, se servono i farmaci non bisogna avere paura a usarli.

E qui si arriva a un altro errore frequente, perché come sottolinea Oliva, «tanti aspettano a iniziare le cure oppure le interrompono per paura degli effetti collaterali: sulle statine, medicinali economici e molto efficaci, pesano ancora i timori degli eventi avversi sui muscoli, che oggi sono molto rari e siamo allenati a riconoscere in tempo. L’ideale sarebbe iniziare la terapia, quando serve, in maniera relativamente aggressiva per raggiungere prima possibile l’obiettivo, perché bisogna ridurre il tempo trascorso con il colesterolo oltre i limiti: in questo senso sono molto utili le combinazioni, che consentono di diminuire i dosaggi dei singoli principi attivi e quindi anche i relativi effetti collaterali».

Le terapie a disposizione
Oggi le possibilità di terapia sono tante: i farmaci di prima linea sono le statine, che inibiscono un enzima fondamentale per la sintesi del colesterolo da parte del fegato e così ne riducono significativamente la produzione, ma ci sono anche ezetimibe, che impedisce l’assorbimento intestinale del colesterolo, e gli anticorpi anti-PCSK9 o le terapie basate sull’interferenza dell’Rna che, avendo un meccanismo d’azione diverso rispetto alle statine, sono ideali in associazione.

Il ruolo delle Hdl
«Le prossime terapie per salvarci da infarti e ictus punteranno sull’infiammazione», dice il presidente Anmco Fabrizio Oliva. In attesa di arrivarci, la ricerca si è concentrata negli ultimi anni anche su due altri «personaggi» dell’intricato mondo dei lipidi che circolano nel sangue, ovvero i trigliceridi e il colesterolo Hdl. I primi sono sicuramente dalla parte dei cattivi e, come osserva Oliva, «non sono una causa diretta di infarti e ictus, ma di certo una concausa. Sono molto influenzati dallo stile di vita e dall’alimentazione, per esempio sui livelli incide non poco un consumo consistente di carboidrati come pane e pasta. Esiste anche qualcosa che può ridurli, come l’icosapent etile».

Si tratta di un estere dell’acido eicosapentaenoico, o Epa, un acido grasso omega-3 che ha effetti antinfiammatori e anche, o forse soprattutto, per questo sembra utile per ridurre il rischio cardiovascolare: in alcuni studi che hanno mirato specificamente a ridurre i trigliceridi per capire se riuscirci fosse vantaggioso in termini di diminuzione di infarti e ictus l’effetto non è stato così chiaro e i risultati sono stati a volte discordanti. In altri termini, abbassare i trigliceridi coi farmaci non per forza equivale a mettere al sicuro il cuore ed è possibile che questi lipidi siano appunto «solo» una concausa o un indicatore di un cattivo stato cardiovascolare.

E quello del colesterolo
Qualcosa di simile, ma al contrario, pare valere per il protagonista «buono» del film sui lipidi, il colesterolo Hdl: si sa che averlo alto si associa a un minor rischio di eventi, i livelli aumentano grazie all’esercizio fisico e si è pure provato ad alzarlo con i farmaci. Ci si è anche riusciti, con una molecola in grado di aiutare l’Hdl a far meglio il suo lavoro di «ripulitura» del colesterolo dal circolo sanguigno: da una ricerca che l’ha testata su oltre 18 mila persone che avevano già avuto un infarto e che sulla carta si sarebbero potute giovare molto di questo Hdl «potenziato» non è però emerso nessun beneficio sulla riduzione del rischio di nuovi infarti, ictus o morte.

Allo studio il ruolo della frazione residua «remnant»
Anche la frazione residua del colesterolo, chiamata remnant, è sotto esame: si tratta di particelle che hanno lasciato il fegato verso i tessuti, hanno «scaricato» i lipidi ma non abbastanza da diventare Ldl, oppure di chilomicroni che non hanno più trigliceridi. In chi ha un metabolismo sano la frazione residua viene eliminata rapidamente; nelle persone con diabete od obesità il processo non funziona e la frazione residua si «appiccica» nelle placche aterosclerotiche, aumentando il rischio cardiovascolare in misura indipendente rispetto alla quantità di colesterolo Ldl in circolo.

È perciò probabile che sia importante riuscire a ridurre la frazione residua, che va tuttavia ancora definita meglio; ci sono già allo studio molecole che promettono di «spazzare via» anche le particelle che trasportano il colesterolo «remnant», ma è ancora presto per capire davvero se potranno avere un ruolo di rilievo .

È il diverso «mezzo di trasporto» a fare la differenza
Il colesterolo è uno. A fare la differenza sono gli involucri di proteine in cui è racchiuso: quello Ldl viaggia entro «palline» di lipoproteine a bassa densità (Low Density Lipoproteins) verso i tessuti perché vi possa essere utilizzato; l’Hdl sta in «palline» con lipoproteine ad alta densità (High Density Lipoproteins) e viene trasportato dai tessuti periferici e dal circolo verso il fegato, in modo da essere smaltito ed eliminato tramite la bile.

Se l’Ldl è troppo si accumula sulla parete delle arterie; quello Hdl contribuisce anche alla rimozione del colesterolo dai vasi sanguigni e dalle placche aterosclerotiche. Il colesterolo può essere trasportato poi da lipoproteine a densità molto bassa (Very Low Density Lipoproteins, Vldl) e chilomicroni (a densità ancora più bassa); anche questo colesterolo, in vescicole più grandi rispetto all’Ldl, va verso i tessuti e può accumularsi dove non dovrebbe e il rischio cardiovascolare aumenta.

Anche chi ha avuto un ictus è poco «fedele» alle terapie
Perfino chi ha già avuto un infarto o un ictus, e quindi è ad altissimo rischio di averne un altro, non segue come dovrebbe le terapie per abbassare il colesterolo. «Circa il 40 per cento dei pazienti che sono stati ricoverati per un evento cardiovascolare non arriva all’obiettivo di colesterolo Ldl», spiega il presidente Anmco Fabrizio Oliva. «L’aderenza alla cura arriva a essere perfino peggiore rispetto alla prevenzione primaria, quella in chi non ha mai avuto eventi che è però altrettanto essenziale. Lo stesso vale a maggior ragione in prevenzione secondaria: è essenziale seguire la terapia come prescritta, una volta tornati a casa, e sottoporsi ai controlli previsti».

 

Fonte: Corriere Salute