Avete presenti i camion della nettezza urbana? Arrivano, prendono i cassonetti, li svuotano e portano via i rifiuti. Se ovviamente non si trova il giusto “contatto” con i contenitori da svuotare, l’immondizia rimane. E si accumula. Anche per il colesterolo cattivo, fattore causale dell’infarto, nel nostro corpo accade qualcosa di simile. Ci sono recettori che, legandosi ad una proteina fondamentale del colesterolo LDL, in qualche modo lo bloccano. Così poi può essere trascinato via dal sangue, senza depositarsi al suo interno contribuendo a formare nel tempo le placche aterosclerotiche. Se questo meccanismo non funziona a dovere, lo stesso colesterolo “cattivo” tende ad accumularsi nei vasi. E quindi, nel tempo, a favorire la comparsa dell’infarto e dell’ictus.
Una ricerca americana, apparsa su Nature, svela per la prima volta cosa accade in questo “incontro” invisibile tra proteina del colesterolo LDL e recettore dedicato. E soprattutto indica ciò che succede quando questo fenomeno non si verifica. Gli scienziati del National Institute of Health (NIH), coordinati tra gli altri da Alan Remaley e Joseph Marcotrigiano, sono riusciti a “fotografare” il fenomeno. Una scoperta che apre la via a trattamenti specifici, caso per caso. E non solo nelle forme di ipercolesterolemia su base genetica.
L’aiuto dell’Intelligenza Artificiale
Gli studiosi hanno visualizzato cosa succede quando l’LDL si lega al suo recettore, LDLR, con il via all’eliminazione del colesterolo cattivo dal sangue. Il tutto, grazie ad una tecnologia d’avanguardia di imaging, la microscopia crioelettronica. Prima gli scienziati hanno osservato l’intera proteina strutturale dell’LDL quando si è legata all’LDLR. Quindi, con un software di previsione proteica basato sull’Intelligenza Artificiale, sono stati in grado di modellare la struttura e individuare le mutazioni genetiche note che determinano un aumento dell’LDL. Si è così scoperto che molte delle mutazioni che mappavano la posizione in cui LDL e LDLR si collegavano erano associate a una condizione ereditaria chiamata ipercolesterolemia familiare, che può condurre ad infarti già in giovane età. Inoltre si è visto che le varianti associate a questa condizione patologica tendono a raggrupparsi in regioni specifiche dell’LDL.
I risultati dello studio, ora, potrebbero aprire nuove strade per sviluppare terapie mirate volte a correggere questo tipo di interazioni disfunzionali causate dalle mutazioni. Ma non basta. Crescono le speranze di sviluppare nuovi farmaci per agire esattamente nei punti di connessione tra LDLR e LDL, oltre a quelli già disponibili, prendendo di mira proprio questi obiettivi.
Importante seguire le terapie
L’aderenza ai trattamenti, in ogni caso, rappresenta la sfida odierna nella lotta al colesterolo, anche per raggiungere i valori target, in particolare dopo infarti o ictus. in questo senso sono incoraggianti i dati di un farmaco a mRNA, disponibile in Italia da circa due anni, raccolti dal registro di “Real-Life” CHOLINET pubblicati on line sul Journal of the American College of Cardiology. Lo studio multicentrico italiano, il primo e più ampio mai realizzato sulla sicurezza ed efficacia di Inclisiran (questo il nome del medicinale, che agisce “spegnendo” l’mRNA che porta le informazioni utili alla proteina PCSK9, implicata nel trasporto e nella distruzione dei recettori che catturano il colesterolo), è stato condotto in 31 centri italiani dal gruppo di ricerca guidato da Pasquale Perrone Filardi, presidente della società Italiana di Cardiologia (SIC) e direttore della scuola di specializzazione in malattie dell’apparato cardiovascolare dell’Università Federico II di Napoli. Sono stati coinvolti 659 pazienti, tra novembre 2022 e febbraio 2024, con età media di 63 anni. “Dopo 3 mesi dalla prima dose del farmaco e a seguito di una seconda somministrazione di Inclisiran, è stata raggiunta una riduzione media del colesterolo del 51% permettendo di ottenere livelli di colesterolo di 50 milligrammi per decilitro, al di sotto del target stabilito dalle linee guida correnti – spiega l’esperto. Risultati ancora migliori sono stati inoltre raggiunti per i pazienti ad alto rischio di sviluppare malattie cardiovascolari che dopo solo 2 dosi di Inclisiran sono riusciti a raggiungere nel 57% dei casi valori di colesterolo inferiori a 55 e nel 69% livelli di LDL al di sotto di 70. A 9 mesi dall’inizio dello studio e dopo una terza dose del farmaco, la riduzione media dei valori LDL ha raggiunto mediamente il 56% e ha nuovamente mostrato i risultati più significativi tra i pazienti ad alto rischio, che nel 67% dei casi, cioè circa due terzi, sono riusciti a ottenere valori di colesterolo inferiori a 55 milligrammi per decilitro e nell’80% al di sotto di 70”.
Cure mirate per chi è ad alto rischio
Come segnala l’esperto, ottimi risultati sono stati raggiunti nei soggetti ad alto rischio cardiovascolare che seguono una terapia combinata con statine o ezetimibe. “È stata osservata una riduzione di LDL al di sotto di 55 milligrammi per decilitro a 3 mesi, nel 71% dei casi e dell’83.2% a 9 mesi – fa sapere Perrone Filardi. Inoltre, l’82.3% e il 94.7% dei soggetti ha raggiunto livelli di colesterolo sotto i 70 mg/dl a 3 e 9 mesi, rispettivamente”. Il tutto, va detto, con un’aderenza alla terapia che ha raggiunto quasi il 100%. “Questo è spiegabile sostanzialmente con la rarità di effetti collaterali rispetto alle statine e una modalità di somministrazione meno impegnativa, con iniezioni sottocutanee semestrali anziché una pillola al giorno – conclude il cardiologo”.
Fonte: Repubblica.it