Ricordate la scelta delle buste nei vecchi quiz televisivi di qualche anno fa. “Vuole la 1, la 2 o la 3? – diceva il presentatore”. E di conseguenza si otteneva la domanda. Per capire chi davvero corre maggiori rischi di sviluppare un ictus o un infarto potrebbe accadere qualcosa di simile. Esisterebbero infatti tre diversi livelli di pericolo. Invisibili. Perché legati all’identikit del DNA delle cellule che compongono le placche tipiche dell’aterosclerosi.

Quando le placche diventano instabili e si rompono, si formano coaguli di sangue che possono ostruire il vaso o “viaggiare” verso altre arterie, bloccando in ogni caso il flusso di sangue ed ossigeno verso cuore o cervello. Grazie a questa scoperta, in base alle caratteristiche cellulari della placca e alla conseguente probabilità di sviluppare un’ostruzione dei vasi, si potrà quindi sapere in anticipo chi va monitorato con maggior attenzione. E soprattutto si potranno porre quando necessario obiettivi più stringenti di controllo dei fattori di rischio per infarto e ictus, dall’ipertensione fino al colesterolo LDL. Insomma. Si va verso la prevenzione su misura.

A disegnare questi “profili”, come veri e propri investigatori, sono alcuni studiosi dell’Istituto svedese Karolinska coordinati da Ljubica Matic, insieme con ricercatori delle Università di Stanford e della Virginia. La ricerca è stata pubblicata sull’European Heart Journal.

I tre profili di rischio

Lo studio mostra come i tratti genetici del soggetto influenzano la composizione delle cellule all’interno delle lesioni tipiche dell’aterosclerosi. E questo può ovviamente avere ripercussioni sul rischio soggettivo.

Ma la ricerca propone uno scatto conoscitivo in più. I ricercatori sono riusciti a categorizzare i pazienti in tre gruppi diversi. E quindi a definire una sorta di “rischio personale. “Il primo gruppo è quello con il profilo più grave e nella nostra indagine in genere è già andato incontro ad un ictus”: recita più o meno così il commento di Matic in una nota della struttura. Poi ci sono i pazienti a basso rischio, in cui si sono formate placche ma senza arrivare ad una lesione ischemica. Poi esiste un terzo gruppo di potenziali pazienti, che invece si trova in un percorso di rischio intermedia e che spesso manifesta una patologia renale combinata ad aterosclerosi. Secondo gli studiosi, questa classificazione potrebbe essere considerata anche per l’infarto e ci sarebbero già prove preliminari del suo valore.

Tutto nasce dal DNA

Lo studio è partito dall’analisi di campioni di tessuto arteriosa di pazienti con aterosclerosi conservati nella BiKE (Biobank of Karolinska Endarterectomies). E conferma appieno il “peso” dei fattori ereditari nel determinare non solo la tendenza a veder salire i valori di colesterolo o le reazioni delle unità immunitarie nel sangue, ma anche la composizione delle cellule muscolari lisce delle pareti delle arterie. Ovviamente – ricorda Matic – “ciò può influenzare lo sviluppo di placche aterosclerotiche, ma anche la tendenza delle placche a diventare instabili e causare un ictus”. In futuro si punta ad integrare queste conoscenze cellulari con la diagnostica per immagini. E grazie all’Intelligenza Artificiale, mixando le informazioni, si potrà definire meglio il rischio e, soprattutto, prevedere la risposta a trattamenti specifici.

Così sapremo chi rischia di più

“I progressi tecnologici della biologia molecolare hanno notevolmente ampliato le nostre conoscenze sui processi patogeni dell’aterosclerosi – commenta Leonardo De Luca, direttore della S.C di Cardiologia presso la Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia. In particolare, ad oggi, gli studi di associazione a livello genomico hanno identificato quasi 300 polimorfismi in qualche modo collegati alla malattia coronarica. Tuttavia, l’impatto biologico e funzionale di molte di queste varianti genetiche è ancora sconosciuto”.

Perché tante attenzioni per le cellule muscolari lisce? Si tratta di una parte integrante della parete arteriosa che controlla il tono vascolare e la pressione sanguigna. Nei vasi adulti le cellule muscolari lisce non sono totalmente differenziate e in risposta agli stimoli esogeni, possono subire delle modificazioni, con effetti stabilizzanti o destabilizzanti sulla placca aterosclerotica e quindi sulla progressione o stabilizzazione della malattia.

“Questo studio ha per la prima volta dimostrato che alcuni genotipi sono associati a diversi rapporti di sottotipi di cellule muscolari lisce nelle placche aterosclerotiche e che, a lungo termine, l’integrazione di queste bioinformazioni con i fattori di rischio noti e le nozioni cliniche, può consentire di identificare con maggiore precisione i pazienti a maggiore o minor rischio di eventi cerebrovascolari maggiori – conclude l’esperto”.

 

Fonte: Repubblica.it