La neurodegenerazione è tra le sfide più importanti e più complesse del prossimo decennio. Per contrastarla ci sono le cellule staminali embrionali: le loro potenzialità sono confermate dalla ricerca, tanto che è partito il primo studio clinico europeo di trapianto di neuroni dopaminergici ottenuti proprio da cellule staminali embrionali umane. Si tratta del progetto Stem-Pd.

La prima fase della sperimentazione clinica nell’uomo per il Parkinson è il frutto di 16 anni di studio, condotta da tre consorzi internazionali finanziati dall’Unione Europea e coordinati dal Laboratorio di biologia delle cellule staminali e farmacologia delle malattie neurodegenerative dell’Università di Milano e diretto da Elena Cattaneo, farmacologa e senatrice a vita.

La sperimentazione

Il concetto di base è che, “se non si può curare, si prova a sostituire”, spiegano gli scienziati. I neuroni dopaminergici sono coinvolti in fondamentali processi biologici che riguardano il movimento, ma anche la cognizione e la motivazione, e la loro degenerazione porta al Parkinson. “Nel Parkinson questi neuroni degenerano e la possibilità di rimpiazzarli è un’idea che risale già a mezzo secolo fa, ma solo 25 anni fa, con la scoperta delle staminali embrionali, si è iniziato a perseguire la strada del trapianto”, racconta Elena Cattaneo, ripercorrendo anni di ricerca, tra alti e bassi. Sia il pioniere di questi studi, Anders Bjorklund dell’Università di Lund in Svezia, che negli Anni 70 è partito con alcuni studi di fattibilità, trapiantando neuroni ottenuti da tessuto fetale autoptico, sia la sua allieva, Malin Parmar della Lund University, assieme a Roger Baker della Cambridge University che conducono la sperimentazione, sono arrivati a Milano in occasione del convegno “Stem cell revolutions for neurodegenerative diseases”, in cui si è fatto il punto sugli avanzamenti della ricerca. C’era anche il team americano, che è già partito nel 2022 con un’analoga sperimentazione di fase 1, chiamata exPDite, sempre con neuroni da staminali embrionali umane. Presente in sala anche Andrew Cassy, un britannico con Parkinson e volontario già sottoposto al trapianto.

Significative le tappe: dall’aspetto metodologico, con i protocolli per creare in laboratorio neuroni simili a quelli che degenerano nel cervello dei pazienti, alla dimostrazione della loro sicurezza tramite studi in vivo, fino ai trapianti in varie specie animali, allo studio della loro efficacia e all’autorizzazione dell’Ema, l’Agenzia europea per i medicinali, per la sperimentazione clinica nell’uomo.

Dopamina e connessioni

Nessun problema è emerso per la sicurezza delle cellule: “Il gran numero di animali trapiantati in fase preclinica dimostra che il rischio di una crescita tumorale è stato annullato anche dall’applicazione di protocolli e di strategie specifiche”, chiarisce Elena Cattaneo. La prima fase dei test clinici è partita a febbraio 2023: i trapianti sono stati eseguiti in Svezia e nel Regno Unito, fino a ottobre 2024, in otto pazienti che saranno seguiti per almeno 12 mesi. I dati preliminari sugli esiti dei test potranno essere disponibili all’inizio del 2026. Le aspettative sono alte, anche in virtù dei risultati ottenuti dal team statunitense dello Sloan Kettering Cancer Center di New York che ha già dati di follow-up a 24 mesi: le cellule trapiantate sono vive, producono dopamina, formano connessioni funzionali con le altre. Sono indistinguibili dalle cellule del ricevente e c’è un continuo miglioramento dei sintomi motori.

“Oggi stiamo esplorando anche il trapianto in altre patologie, in cui i requisiti richiesti alle cellule per essere efficaci sono ancora maggiori, perché sono coinvolte reti neurali più estese e ramificate, molto più dell’area interessata dalla degenerazione tipica del Parkinson, ed è quindi necessaria una ricostituzione delle connessioni non solo locale”, aggiunge Elena Cattaneo, citando la malattia di Huntington, ma anche le demenze, l’ictus e i traumi cerebrali. Un’altra strada è quella di arrivare a combinare il trapianto con interventi di rigenerazione cellulare.

Superare i divieti

“Non saremmo mai arrivati a questo traguardo di sperimentazione per il Parkinson se l’Ue non avesse realizzato uno spazio comune della ricerca, stimolando gli studiosi a unire idee e competenze in modo libero e competitivo”, ha aggiunto Elena Cattaneo, insieme con la necessità di “finanziare la ricerca di base”, anche quella che cerca risposte a domande fondamentali senza ricadute certe. Ecco perché è necessario superare il divieto di derivare cellule staminali embrionali dalle blastocisti sovrannumerarie in ogni caso destinate ad un congelamento distruttivo: il divieto è stato introdotto 20 anni fa dalla legge 40/2004 che, ancora oggi, costringe gli scienziati italiani – pena il carcere – a importare dall’estero queste cellule per poterle studiare.

 

Fonte: Repubblica.it