otremmo chiamarla ‘Cassandra’, come la figlia del re Priamo profetessa di sventure. Ma, a differenza della principessa troiana, questa proteina del sangue capace di predire il rischio di tumore e infarto deve – o meglio dovrebbe – essere ritenuta affidabile, almeno dagli over 65 e dai loro medici. A mettere in luce l’impatto dei bassi livelli di albumina è uno studio tutto italiano condotto su 18.000 persone. Ma come è nata la ricerca, pubblicata su ‘eClinical Medicine-Lancet’?
La ‘chiave’ nell’infiammazione
“La nostra analisi origina dal fatto che nel sangue l’albumina è una proteina che svolge attività antiossidante, antinfiammatoria e anticoagulante”, spiega Francesco Violi, professore emerito della Sapienza di Roma e ideatore dello studio. “La sua diminuzione, pertanto, accentua lo stato infiammatorio sistemico, facilitando l’iperattività delle cellule predisposte alla cancerogenesi o alla trombosi. È importante, in questo contesto, sottolineare che cancro e infarto condividono una base comune proprio nella presenza di uno stato infiammatorio cronico, e che pazienti a rischio di malattie cardiovascolari, come i diabetici e gli obesi, sono anche a rischio di cancro”.
Lo studio
La ricerca congiunta è stata condotta da Sapienza e Irccs Neuromed di Pozzilli, Mediterranea Cardiocentro di Napoli e Università Lum di Casamassima. Ancora una volta gli studiosi hanno fatto tesoro del maxi-studio epidemiologico Moli-sani: partito nel marzo 2005, il lavoro ha coinvolto circa 25.000 cittadini del Molise, per conoscere i fattori ambientali e genetici alla base delle malattie cardiovascolari e dei tumori.
Quest’ultimo studio, condotto su circa 18.000 soggetti, dei quali 3.299 di età pari o superiore ai 65 anni, ha dimostrato per la precisione che livelli di albumina inferiori a 35 g/L sono collegati a un rischio maggiore di morte negli anziani. Una relazione osservata anche dopo aver escluso fattori come malattie renali o epatiche e stati infiammatori acuti, che possono influenzare i livelli di albumina. Insomma, l’ipoalbuminemia (bassi livelli di albumina nel sangue) aumenta il pericolo di infarti o tumori letali.
Il valore della previsione
Una previsione per la quale basta una semplice analisi del sangue. “La possibilità di ottenere indicazioni predittive su malattie con alta incidenza ed elevato rischio di morte attraverso un esame semplice e ampiamente disponibile, anche a basso costo, rappresenta un’importante conquista per la medicina moderna”, commenta la rettrice della Sapienza Antonella Polimeni, convinta che questo lavoro “abbia anche un importante valore sociale, attribuibile alle possibili ricadute nell’ambito della prevenzione”.
Non solo questione di… fegato
Finora la concentrazione nel sangue dell’albumina è stata considerata legata alla funzionalità del fegato e del rene. “I risultati del nostro studio – puntualizza Augusto Di Castelnuovo, epidemiologo della Mediterranea Cardiocentro e dell’Irccs Neuromed – mostrano che un livello basso di albumina, oltre a fornire indicazioni sullo stato nutrizionale e sulla salute del fegato, segnala anche una aumentata suscettibilità verso altre gravi patologie. L’ipoalbuminemia potrebbe riflettere quel processo infiammatorio cronico tipico dell’invecchiamento, noto come ‘inflammaging’, che potrebbe aver contribuito al rischio elevato di mortalità che abbiamo osservato”.
L’impatto economico
Non solo. L’ipoalbuminemia è correlata anche a un livello socioeconomico più basso. Questo solleva un’importante questione sociale: per motivi economici gli anziani optano spesso per una dieta meno salutare, scegliendo alimenti con proteine meno nobili. E questo ha un impatto sulla salute, non solo quella cardiovascolare.
Come spiega Licia Iacoviello, direttore del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione del Neuromed e docente di Igiene dell’Università Lum, “oltre a fornirci lo spunto per approfondire con ulteriori ricerche il rapporto tra albumina nel sangue e salute, questo studio può avere implicazioni dirette sulla pratica clinica e sulla prevenzione. La misura dell’albumina nel sangue è infatti un test semplice e poco costoso. È quindi da considerare un’analisi di primo livello, che permetterebbe di porre una maggiore attenzione clinico-diagnostica verso gli individui anziani potenzialmente a rischio. Il nostro studio fornisce anche un valore di riferimento (35 g/L) che può guidare il medico nell’interpretazione della misura di albumina”.
Insomma, la proteina ‘Cassandra’ può rivelarsi davvero preziosa, perchè se intercettiamo per tempo la ‘sventura’, questa può essere efficacemente contrastata. E, per una volta, non si tratta di un esame complesso o costoso.
Fonte: Fortune Italia