Il fibrinogeno è una proteina presente nel sangue il cui ruolo principale è legato all’emostasi, ossia quell’insieme di processi fisiologici che consente di fermare una perdita di sangue (emorragia) in un qualsiasi distretto dell’organismo. Chimicamente si tratta di una proteina glicosilata (glicoproteina) che viene prodotta nel fegato e nelle cellule endoteliali sotto forma di dimeri dal peso molecolare di 340 kDa; i singoli monomeri che la costituiscono, a loro volta, sono costituiti da catene amminoacidiche semplici chiamate
- alfa,
- beta,
- gamma.
La sua emivita nel plasma circolante è compresa tra i 3 e i 5 giorni (emivita è il termine che indica il tempo necessario affinché le concentrazioni circolanti si dimezzino, a meno di ulteriore produzione).
Da un punto di vista fisiologico il fibrinogeno è uno degli attori dei processi di emostasi, e più nello specifico si tratta dell’ultimo elemento ad attivarsi nella cascata della coagulazione: dopo essere stato separato dalla trombina, un enzima appartenente alla classe delle idrolasi, il fibrinogeno si trasforma in fibrina e può così iniziare un processo di progressivo “impaccamento” nei pressi della lesione che forma una trama reticolare contenitiva. La morfologia “a rete” costituisce una sorta di barriera capace di intrappolare gli elementi figurati del sangue e quindi di impedire la loro fuoriuscita dal vaso.
Il corretto bilanciamento tra attività pro-trombotica e diatesi emorragica costituisce uno dei nodi cruciali della Medicina moderna, perché
- un’eccessiva tendenza alla coagulazione potrebbe esporre il paziente al rischio di eventi tromboembolici (infarto del miocardio, trombosi venosa profonda, embolia polmonare, ictus cerebrale, …);
- un’eccessiva fluidificazione del sangue, al contrario, favorisce una tendenza al sanguinamento, con conseguenze che possono andare dalla semplice formazioni di lividi a vere e proprie emorragie interne.
Non stupisce quindi che l’insieme dei processi biochimici che ne sono alla base sia l’oggetto di numerose terapie preventive di eventi trombotici e, sebbene la concentrazione del fibrinogeno non sia l’unico fattore in questo “gioco di equilibri”, la sua concentrazione può fornire diverse informazioni sull’assetto coagulativo del paziente, sia che essa sia aumentata piuttosto che viceversa:
elevati valori di fibrinogeno sono solitamente associati a quadri pro-trombotici, mentre valori bassi correlano a quadri emorragici.
Oltre al dosaggio quantitativo del fibrinogeno circolante (test quantitativo) è possibile richiedere anche il cosiddetto test di attività, capace di valutare l’effettivo funzionamento della molecola nelle fasi finali del processo coagulativo: in alcuni stati patologici può infatti capitare che la proteina sia presente in concentrazioni normali, ma che essa non interagisca correttamente con la trombina o con gli altri componenti di questo complesso sistema.
Esso si svolge unendo al campione del paziente una quota prestabilita di trombina e andando a misurare il tempo necessario alla formazione del coagulo di fibrina.