Grazie a un semplice esame del sangue si può diagnosticare precocemente la ricaduta di un tumore orofaringeo (cioé del cavo orale, la gola) collegato all’infezione da Hpv, il comune virus del papilloma umano.
L’annuncio è stato dato dai ricercatori del Dana-Farber Cancer Institute di Boston durante un congresso multidisciplinare tenutosi a Phoenix, in Arizona, sui tumori della testa e del collo. I risultati dell’ampia ricerca che hanno condotto sono stati sorprendenti e hanno dimostrato come un semplice prelievo di sangue venoso possa prevedere, con una precisione del 72% dei casi, se il tumore si ripresenterà ancor prima di numerosi altri metodi già in uso per “predire” il ritorno di una patologia. Il papillomavirus è il responsabile di alcuni tumori non soltanto genitali ma che riguardano anche la cavità orofaringea. Tra i pazienti colpiti dal cancro alla gola, una percentuale compresa tra il 15 e 25% svilupperà una recidiva a cinque anni di distanza dal trattamento.
Il tumore, purtroppo, può ripresentarsi spesso anche come malattia diffusa in altre aree diverse da gola e collo. In questa fase storica, le recidice vengono ancora diagnosticate con tecniche di imaging e altri esami diagnostici ma “i controlli sono applicati in modo diverso e con frequenza differente in relazione al contesto“, affermano i ricercatori.
Quanto scoperto dai ricercatori, però, apre una importante novità nella prevenzione per questa malattia: anche se l’analisi del Dna del tumore è uno strumento già utilizzato e molto utile nel campo dell’oncologia, l’applicazione al contesto orofaringfeo non era mai stato adoperato. Lo studio del Cancer Institute, quindi, ha come obiettivo quello di valutare se il test al sangue potrà davvero essere uno strumento efficace per la diagnosi precoce delle recidive. I ricercatori hanno studiato i valori di oltre mille pazienti che dopo aver curato il tumore primario, si erano sottoposti ad analisi al sangue per vedere se ci fossero ancora tracce genetiche del tumore in circolazione nell’organismo.
Dopo i tre mesi dalle terapie classiche (chemio, radio), 80 di loro sono risultsati positivi al test: 21 su 80 avevano già saputo di avere la recidiva mentre su 59 di loro la malattia non si era più manifestata. “Nel 95% dei casi le recidive sono state confermate attraverso indagini di imaging, biopsia o endoscopia; in quattro pazienti, invece, non è risultata altra evidenza di malattia oltre al test del sangue“, spiegano gli esperti. Queste persone, quindi, vengono sottoposte periodicamente sia a biopsia liquida che a sorveglianza radiologica per evitare brutte sorprese. Infine, i ricercatori hanno sottolineato come nel 72,4% dei casi, la prima spia che ci fosse in corso la recidiva della malattia era stata proprio la positità alle analisi del sangue. Se confermato ulteriormente, potrà senz’altro diventare un mezzo di sorveglianza efficace nella pratica clinica che possa anche consentire nuovi e personalizzati trattamenti.